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La mediazione tra personalismo e solidarismo costituzionali

La nascita dell’istituto della mediazione delle controversie in Italia deve essere ricondotta al 20 marzo 2010, data di entrata in vigore del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28.
Questa data segna una svolta culturale e giuridica di notevole rilevanza, ma che ancora oggi – a distanza di oltre quattro anni – si stenta ad apprezzare.
Le ampie discussioni sulle problematiche tecnico-giuridiche relative ad aspetti per lo più connessi al meccanismo della condizione di procedibilità hanno polarizzato l’attenzione degli operatori e degli interpreti, lasciando sullo sfondo le profonde ragioni di una svolta epocale in atto a livello transnazionale.
E la nascita della mediazione costituisce la tappa di approdo ed al tempo stesso di partenza di un percorso culturale e normativo europeo destinato ad attuare in chiave evolutiva anche i princìpi fondamentali contenuti nella Carta costituzionale nel quadro di un complesso sistema di fonti qual è quello italo-comunitario.
Ma collegare la mediazione di cui al Dlgs 28/2010 e le diverse norme che nel tempo avevano precedentemente introdotto ipotesi conciliative stragiudiziali (oltre che giudiziali) tuttora vigenti e il tentativo di dare organicità alla materia con l’introduzione della conciliazione societaria (con il Dlgs 5/2003) poi abrogata con l’avvento della nuova normativa, non consente di dare specifico e fondante rilievo a quella data.

La Direttiva Europea 2008/52/CE
Invero facilitare l’accesso alla giustizia ed ai metodi alternativi di risoluzione delle controversie civili e commerciali e promuovere la composizione amichevole delle medesime attraverso la mediazione costituisce il principale obiettivo che con la Direttiva n. 52/2008 il legislatore europeo mira a raggiungere. Nasce così la prima Direttiva in materia di ADR e soprattutto la prima normativa in materia di mediazione vincolante per gli Stati membri. Una disciplina che nel perseguire questi obiettivi e pur incoraggiando il ricorso alla mediazione, intende altresì garantire «un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario» (articolo 1, Dir. 52/2008) e non soltanto nelle controversie transfrontaliere, risultando applicabile anche «ai procedimenti di mediazione interni» (considerando 8, Direttiva 52/2008).
La definizione di “mediazione” che viene codificata dal legislatore europeo è chiara ed è decisamente improntata a valorizzare la negozialità dell’istituto, pur consentendo che la stessa possa essere ordinata dal giudice o prescritta dal legislatore nazionale: «per “mediazione” si intende un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro» (articol 3, lettera a, Direttiva 52/2008).
Ma per cogliere appieno la profonda trasformazione culturale e giuridica che trova il suo epilogo nella Direttiva n. 52/2008 occorre ricordare come sin dal 1999 il Consiglio europeo, nella riunione di Tampere (15 e 16 ottobre 1999) aveva invitato gli Stati membri ad istituire procedure extragiudiziali e alternative e ciò al fine di agevolare un miglior accesso alla giustizia che costituisce principio fondamentale. Poi nel maggio 2000 il Consiglio aveva adottato conclusioni sui metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, sancendo che «l’istituzione di princìpi fondamentali in questo settore è un passo essenziale verso l’appropriato sviluppo e l’operatività dei procedimenti stragiudiziali per la composizione delle controversie in materia civile e commerciale così come per semplificare e migliorare l’accesso alla giustizia» (considerando 3 e 4, Direttiva 52/2008).
E l’obiettivo di garantire un migliore accesso alla giustizia, come parte della politica dell’Unione europea di istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, dovrebbe comprendere l’accesso ai metodi giudiziali ed extragiudiziali di risoluzione delle controversie» e proprio con la Direttiva n. 52/2008 si persegue tale obiettivo in particolare «per quanto concerne la disponibilità dei servizi di mediazione» (considerando 5, Direrttiva 52/2008).
D’altronde «la mediazione può fornire una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale attraverso procedure concepite in base alle esigenze delle parti. Gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti. Tali benefici diventano anche più evidenti nelle situazioni che mostrano elementi di portata transfrontaliera» (considerando 6, Direttiva 52/2008).
Qui nasce l’esigenza di garantire un «un contesto giuridico certo» che consenta di promuovere ulteriormente l’utilizzo della mediazione introducendo «un quadro normativo che affronti, in particolare, gli elementi chiave della procedura civile» (considerando 7, Direttiva 52/2008).
Ed in questa prospettiva la Direttiva «cerca di promuovere i diritti fondamentali e tiene conto dei princìpi riconosciuti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea» (considerando 27). Carta quest’ultima equiparata al Trattato sull’Unione Europea (TUE) e al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) per quanto attiene alla portata giuridica vincolante.
L’obiettivo di creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione europea attraverso migliori condizioni di accesso alla giustizia assume pertanto un rilievo costituzionale proprio alla luce dell’integrazione della Carta dei diritti tra i testi fondamentali che compongono il Trattato di Lisbona (articolo 47 Carta).
La Direttiva n. 52/2008, che codifica i princìpi generali in materia di mediazione dell’Unione europea, ha così collocato la promozione della mediazione tra gli strumenti per l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri che abbiano impatto sulla cooperazione giudiziaria in materia civile, in tal modo anticipando le innovazioni apportate dal Trattato di Lisbona (articolo 81, paragrafo 2, lettera g, TFUE).

La caratura assiologica della mediazione
Appare dunque evidente la caratura assiologica che la mediazione assume nel contesto ordinamentale europeo e, quindi, nazionale tale da imporre una rilettura della mediazione nel sistema dei valori costituzionalmente protetti.
Ed invero, sinora, la lente costituzionale attraverso la quale è stata osservata la nuova ‘creatura’ (che proprio in virtù delle scelte del legislatore europeo non può trovare similitudini se non meramente tecnico-procedimentali con preesistenti strumenti conciliativi tuttora vigenti) sembra restare ancorata al contesto normativo definito di “giurisdizione condizionata”. Il riferimento è a quella giurisprudenza costituzionale che sin dagli anni Sessanta è stata chiamata a verificare la legittimità di quelle norme che prevedevano tentativi obbligatori di conciliazione ritardando ipso facto l’accesso alla giurisdizione dello Stato.
Quell’approccio derivava dall’esigenza di accertare se il diritto fondamentale di accesso alla giustizia tutelato dall’articolo 24 della Costituzione potesse essere in qualche modo condizionato da meccanismi di filtro preventivo con finalità precipuamente deflattive. Una giurisdizione statale onnivora (per ciò stesso identificata con l’accesso alla giustizia tout court) costituiva così causa ed effetto di una prospettiva nella quale tra strumenti conciliativi e processo civile si delineava un chiaro rapporto tra regola ed eccezione. Il primo quale strumento di tutela dei diritti costituzionalmente garantito, il secondo quale eccezione da giustificare solo in una logica emergenziale e deflattiva e da rendere sempre conforme al principio.
Ma l’adozione della Direttiva n. 52/2008 (ed in Italia la legge delega di cui all’articolo 60 della legge 69/2009 e di qui il Dlgs 28/2010, con la riforma poi attuata con la legge 98/2013) riscrive il rapporto tra giurisdizione e ADR e, specificamente, tra giurisdizione e mediazione.

Giurisdizione e mediazione: un rapporto di equilibrio
Occorre incoraggiare il ricorso alla mediazione per facilitare l’accesso alla giustizia, una giustizia condivisa e sostenibile, che non si identifica con la giurisdizione e che con questa stabilisce un rapporto di equilibrio e non di regola-eccezione (articolo 1, Direttiva 52/2008).
Equilibrio che sancisce tra mediazione e processo pari dignità ai fini della definizione del contenzioso, ma che consente di rileggere la condizione di procedibilità preventiva (ex lege) o successiva (iussu iudicis) – introdotta dal legislatore nazionale nell’attuare la Direttiva UE – quale strumento che mira a garantire un diritto attraverso l’imposizione di un obbligo procedimentale di sistema.
Il legislatore europeo indica quale obiettivo prioritario la promozione della composizione amichevole delle controversie attraverso la costruzione responsabile del consenso, incoraggiando il ricorso alla mediazione. La mediazione infatti costituisce per sua natura il principale strumento di composizione dei conflitti che consente di creare quel “cemento sociale” necessario al progresso di una società civile. L’accesso alla giurisdizione dello Stato costituisce in questa prospettiva un diritto inviolabile, ma che non è in grado di assicurare la ricostruzione di relazioni conflittuali per una profonda e duratura pacificazione sociale.
La sentenza che perviene a dirimere la lite, recide i rapporti quasi sempre perpetuandone nel tempo e nelle generazioni gli effetti. E la pacificazione imposta, se pur “in nome del Popolo Italiano”, non assicura quell’obiettivo che diviene prioritario in una società civile matura. Il conflitto è sinonimo di diversità e se la diversità è un valore occorre alimentare e moltiplicare percorsi mediativi che offrano ai contendenti occasioni di composizione nei quali sia al centro la persona in quanto valore costituzionalmente prioritario.
La mediazione quale strumento giuridico-sociale, pone al centro l’autonomia delle parti in un sistema eterodiretto garantito dallo Stato quale opportunità di sviluppo della personalità del singolo nella comunità cui appartiene e di affermazione dei doveri di solidarietà reciproca.

Diritto alla mediazione e diritto alla tutela giurisdizionale
La dottrina più autorevole ed attenta non ha mancato di rilevare come in questo rinnovato contesto normativo di origine europea, la mediazione divenga fattore di progresso individuale e sociale che introduce e codifica un nuovo e diverso intervento del “terzo” nella lite. La tutela dei diritti non viene così né obliterata né ritardata, ma la persona diviene titolare del diritto alla mediazione consentendo alle parti di confrontarsi in un contesto relazionale utile alla soluzione amichevole. Diritto alla mediazione e diritto alla tutela giurisdizionale divengono i lati della stessa medaglia nella quale l’equilibrio è dato proprio dall’esigenza sociale, ormai emergenziale, di dare strumenti di pacificazione indispensabili al riequilibrio fisiologico del tasso di litigiosità.
Le gravi inefficienze del sistema giudiziario determinate per lo più da una domanda ipertrofica, postulano l’accesso a sistemi che intervengono sulle cause di questa crisi e non soltanto sugli effetti. La mediazione, nell’esaltare il ruolo dell’autonomia privata nella composizione dei conflitti e nell’evitare l’automatismo della delega allo Stato nella fase patologica del rapporto, intende incidere proprio sul tasso di litigiosità riducendo al contempo (attraverso un riequilibrio ecologico) anche la domanda finalizzata alla tutela dei diritti.
Il diritto alla tutela giurisdizionale sancito dall’articolo 24 della Costituzione costituisce così diritto inviolabile della persona (ex articolo 2 della Costituzione), ma non oblitera il diritto alla mediazione, non solo quale forma “altra” di accesso alla giustizia, ma quale espressione diretta dell’esigenza di sviluppo della persona nelle relazioni interpersonali e comunitarie, nell’attuazione del complementare principio di solidarietà. Il personalismo costituzionale che pone quale perno assiologico il valore della persona, esige in un rinnovato contesto culturale e sociale europeo che l’accesso alla mediazione sia garantito e incentivato quale opportunità prioritaria, e non secondaria e residuale.

La mediazione tra personalismo e solidarismo
La mediazione diviene quindi un diritto della persona per la soluzione delle controversie in maniera responsabile, senza deleghe, e al contempo senza pregiudizio per la tutela (eventuale) del diritto sostanziale in sede giurisdizionale.
Un profondo e complesso mutamento culturale, destinato a trasformare radicalmente non soltanto l’approccio al conflitto, ma anche le dinamiche endoprocessuali ove il giudice con i poteri offerti dalla riforma del 2013 può formulare ipotesi conciliative/transattive (articolo 185-bis Cpc) e può demandare le parti in mediazione (articolo 5, comma 2, Dlgs 28/2010), divenendo attento promotore ed attuatore di un ‘sistema giustizia’ complesso nel quale la giurisdizione (divenuta “minima” e “sussidiaria”) appare quale argine estremo per la pacifica convivenza sociale.
E se la mediazione diviene strumento di sviluppo del valore della persona umana nel momento in cui si confligge nel contesto relazionale e comunitario nel quale la stessa volta a volta agisce, non si potrà prescindere dalla sua attuazione nel quadro dei doveri di solidarietà sociale.
Così al diritto della parte che intende mediare non potrà non corrispondere un dovere di solidarietà della parte invitata a partecipare alla mediazione.
L’articolo 2 della Costituzione, quale clausola generale aperta espressione del personalismo e solidarismo costituzionale, diviene il fondamento non soltanto dell’articolo 24 della Costituzione, inteso quale norma di tutela dell’accesso alla giurisdizione, ma altresì di un più facile, adeguato e diverso accesso alla giustizia in una prospettiva attuativa del pieno sviluppo della persona tra diritti inviolabili e doveri inderogabili di solidarietà.
Il 20 marzo 2010 segna così la data in cui la mediazione delle controversie diviene vigente nell’ordinamento italiano, collocandosi in un assetto assiologico che attraverso la Direttiva n. 52/2008 assegna al nuovo istituto una valenza del tutto nuova e che non resta confinata alle tecniche procedimentali, ma che si schiude ad un orizzonte ben diverso nel quale il legislatore europeo e poi quello italiano approdano attuando i princìpi fondamentali dell’accesso alla giustizia.

 

Fonte: Marco Marinaro in www.mondoadr.it

Fonte immagini: Google