segreteria@spfmediazione.it | +39 0984 32 466

segreteria@spfmediazione.it | +39 0984 32 466

Diniego di partecipazione alla mediazione, quando è possibile? Il “decalogo” del Tribunale di Vasto

Il diniego della parte ad intraprendere il procedimento di mediazione obbligatoria è legittimo soltanto qualora sia stato preceduto da un’adeguata attività informativa da parte del mediatore in occasione dell’incontro preliminare e sia accompagnato dall’indicazione di argomentazioni logiche tali da generare la ragionevole convinzione dell’impossibilità di superare le ragioni di contrasto fra i litiganti. Entrambe le condizioni devono essere dimostrate dalla parte che si sia sottratta al tentativo di conciliazione, pena l’irrogazione delle sanzioni economiche e processuali stabilite dalla legge.

Un’articolata – e sostanzialmente inedita – trattazione delle motivazioni che la parte può invocare allo scopo di disertare il procedimento di mediazione obbligatoria (tale essendo sia quello prescritto dalla legge, che quello disposto dal Giudice) proviene dall’ordinanza pronunziata dal Tribunale di Vasto, del 6 dicembre 2016, in persona del Giudice Dott. Fabrizio Pasquale.

Il caso affrontato nel suddetto provvedimento è così sintetizzabile: un istituto di credito, convenuto in giudizio da un cliente in una controversia in materia di contratti bancari, in seno alla quale il Giudice aveva disposto l’esperimento del procedimento di mediazione ex D.Lgs. n. 28/2010, rifiutava – anche solo – di presenziare all’incontro preliminare, limitandosi a trasmettere all’organismo di mediazione una comunicazione con cui illustrava le ragioni giuridiche che, a suo avviso, avrebbero impedito il raggiungimento di qualsiasi soluzione di compromesso; all’udienza fissata per la prosecuzione del processo, l’attore depositava il verbale del primo incontro di mediazione, all’esito del quale, in ragione dell’assenza della parte invitata, il tentativo veniva dichiarato fallito e, conseguentemente, concluso.

Alla luce di tali circostanze di fatto, tutte pacificamente riconosciute da entrambe le parti, il Tribunale di Vasto ha giudicato illegittimo il comportamento adottato dalla Banca, asserendo, al riguardo, che il dissenso da essa opposto all’introduzione del procedimento di mediazione non fosse stato manifestato nei tempi, con le forme ed in presenza dei presupposti stabiliti dalla legge.

Il Giudice, nell’argomentare tale conclusione, ha elaborato una serie di principi, frutto della riproduzione e dell’approfondimento della più rigida giurisprudenza intervenuta sul punto, tanto da potersi apprezzare come una sorta di decalogo sulla partecipazione della parte alla mediazione.

a) L’ordinanza in questione puntualizza, innanzitutto, come l’obbligo per la parte di presenziare all’incontro preliminare di mediazione sia indefettibile, non contemplando la legge alcuna ipotesi di legittima diserzione.

Anzi, secondo l’impostazione del Tribunale di Vasto, la partecipazione a tale adunanza rappresenta il necessario presupposto di qualsiasi rifiuto del litigante ad incominciare le negoziazioni, costituendo, più precisamente, l’unico luogo in cui si può legittimamente maturare il convincimento di uno o di entrambi i contendenti in ordine all’impossibilità di dipanare consensualmente le ragioni del contrasto.

Il ragionamento posto a base di siffatto opinamento è piuttosto lineare sotto il profilo logico: se il dissenso alla mediazione deve essere informato e consapevole, allora esso non può certo prescindere dalla partecipazione all’incontro preliminare di mediazione che a tale funzione informativa è specificamente preposto.

Se l’assunto appare condivisibile nella sostanza, le argomentazioni impiegate per perorarlo sono più discutibili o, comunque, non si sorreggono su una base giuridica tanto solida da renderle ineccepibili.

Infatti, la decisione in commento muove dal presupposto secondo cui i giustificati motivi che autorizzano la parte a disertare il procedimento di mediazione possano manifestarsi – e, quindi, possano essere invocati – soltanto a seguito del primo incontro, quando le parti, dopo essere state compiutamente informate della natura e delle finalità dell’istituto, inizino a confrontarsi sul merito della contesa e comprendano di non essere in grado di raggiungere l’accordo.

Simile prospettazione che, in termini di politica del diritto, potrebbe essere condivisa nell’ottica di un’auspicabile riforma della disciplina sulla mediazione si scontra, però, con il contenuto letterale di diverse previsioni normative contenute nel D.Lgs. n. 28/2010.

Si ponga l’attenzione ad esempio, all’art. 5, commi 4-bis e 5, che in presenza di un giustificato motivo consentono alla parte di non partecipare al procedimento di mediazione. E, quindi, posto che il primo incontro innanzi al mediatore è senz’altro una fase della procedura, allora deve reputarsi che anch’esso possa essere legittimamente disertata in presenza di valide ragioni ostative.

Analoghe deduzioni possono trarsi dall’art. 5, comma 2-bis, che così recita: “quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.

Da tale disposizione legislativa sembra potersi desumere che la presenza al primo incontro, singolarmente considerata e, quindi, anche in assenza di un giustificato motivo legittimante la sua prosecuzione, possa reputarsi sufficiente ad integrare la condizione di procedibilità della domanda giudiziale; di converso, parrebbe logico ritenere che la sussistenza del giustificato motivo autorizzi la parte a sottrarsi anche al colloquio preliminare.

D’altronde, se analizziamo le (poche) circostanze che potrebbero ostare allo svolgimento della mediazione, notiamo come esse tendano a manifestarsi sin da prima dell’instaurazione del procedimento e non possano essere rimosse grazie all’incontro informativo.

Si pensi all’incompetenza territoriale dell’organismo presso il quale l’istante ha depositato l’istanza di mediazione, magari collocato in una zona geografica estremamente distante dalla residenza dell’invitato: quest’ultimo, in una fattispecie di questo genere, parrebbe legittimato a disertare anche (e, forse, soprattutto) l’incontro preliminare; d’altronde, in una simile evenienza, non si comprende in che modo l’attività informativa svolta dal mediatore possa contribuire a risolvere l’anomalia perturbante la regolare celebrazione della mediazione, ossia l’incompetenza territoriale dell’organismo adito.

Eccessiva, inoltre, appare la rilevanza assegnata alla funzione informativa assegnata dalla legge all’incontro preliminare di mediazione.

Infatti, se è senz’altro vero che la somministrazione alle parti di ogni utile nozione attinente al procedimento, specialmente con riguardo ai vantaggi pratici, economici e fiscali offerti dalla soluzione conciliativa rispetto alla definizione giudiziale del contenzioso, rappresenta uno dei principali doveri del mediatore, non è altrettanto scontato che l’espletamento di tale incombente costituisca la condizione necessaria affinché il contendente possa recedere dal tavolo conciliativo.

Si consideri, a questo proposito, che già i difensori dei litiganti, sin da prima dell’avvio del procedimento di mediazione da parte dell’istante ovvero dell’adesione ad opera dell’invitato, sono tenuti a fornire ai rispettivi assistiti un’esaustiva informazione circa i connotati fondamentali dell’istituto conciliativo, naturalmente impiegando un linguaggio comprensibile all’interlocutore (l’art. 4, D.Lgs. n. 28/2010 contempla persino la sanzione dell’annullamento a carico del contratto di mandato defensionale in ipotesi di violazione degli obblighi di informativa). Anzi, l’avvocato, proprio in ragione del rapporto fiduciario instaurato con il cliente, ben potrà esprimersi con maggiore franchezza e, verosimilmente, riuscirà a risolvere dei dubbi che, in presenza della controparte, sarebbero destinati a rimanere tali.

L’opera informativa, perciò, è destinata ad assumere un’importanza centrale soltanto nelle ipotesi assolutamente residuali in cui le parti non siano accompagnate dal difensore. Negli altri casi, non è tanto l’attività informativa, quanto l’azione persuasiva a connotare la figura del mediatore, la cui abilità professionale, infatti, si misura sulla capacità di analizzare la controversia con quel distacco e terzietà necessari per guidare le parti verso piattaforme conciliative che, nelle trattative individuali, non erano riuscite ad individuare autonomamente.

b) Del tutto coerentemente, poi, il Tribunale di Vasto ribadisce come i giustificati motivi di assenza, in presenza dei quali l’ordinamento legittima la mancata partecipazione al procedimento, non riguardino l’oggetto della controversia o, per meglio dire, la prognosi sui possibili esiti del giudizio, attenendo, invece, a fatti che, a prescindere da ogni valutazione di carattere giuridico, impediscono la conclusione di qualsiasi genere d’accordo.

Si tratterebbe, secondo il linguaggio del provvedimento in discorso, di “cause che impediscono oggettivamente alla parte (che pure vorrebbe, ma non ha la materiale possibilità) di essere presente al primo incontro”.

Al riguardo, è condivisibile l’assunto secondo cui la convinzione di poter ottenere una sentenza interamente favorevole non integra una giusta causa di assenza, se non altro perché la mediazione è proprio finalizzata a permettere alle parti di raggiungere una soluzione conciliativa che prescinda dalla distribuzione del torto e della ragione.

Tuttavia, l’impossibilità oggettiva di addivenire all’intesa conciliativa, costituente il giustificato motivo di astensione dalla mediazione, non può confondersi con l’impedimento materiale a presenziare al primo incontro.

La prima, infatti, può dipendere da circostanze che, pur prescindendo dalle previsioni delle parti circa le sorti del giudizio, attengono comunque al merito della controversia o, perlomeno, lambiscono problematiche di carattere giuridico, come, ad esempio, nel caso in cui la parte ritenga che i diritti controversi siano indisponibili ovvero che l’avversario stia in giudizio mediante un procuratore privo di adeguata investitura rappresentativa.

La seconda, di contro, si traduce in una problematica di ordine squisitamente tecnico o organizzativo (oggi, peraltro, notevolmente attenuato, grazie alla possibilità di celebrare gli incontri con la modalità della teleconferenza), che – questa sì! – può sempre risolversi e, quindi, non può mai giustificare la prematura conclusione del procedimento di mediazione.

Riteniamo, invece, che la sussistenza del giustificato motivo di assenza, pur non potendo dipendere alla discrezionale e soggettiva valutazione degli interessati, non può neppure ridursi all’esistenza di ostacoli materiali, dovendo predicarsi anche nel caso in cui una od entrambe le parti abbiano formulato delle domande o proposto delle eccezioni intrinsecamente incompatibili con la definizione consensuale della lite.

La scelta di non presenziare il primo incontro per ragioni legate alla pura e semplice volontà di non volersi accordare con la controparte, tuttavia, può e deve continuare ad essere di libera affermazione al fine di poter garantire al procedimento di mediazione una sua intrinseca utilità su base volontaristica che prescinda dal soddisfacimento della condizione dell’azione. Su tale considerazione si gioca una parte importante del futuro della mediazione: la parte che non vuole accordarsi per volontà giustificata dal non ritenere l’istituto utile al soddisfacimento dei suoi interessi, potrà magari trovare soluzioni conciliative in sede di giudizio sulla spinta di altri istituti come il 185 bis c.p.c. o, qualora venga introdotta, la figura del mediatore ausiliario del giudice.

c) L’estensore dell’ordinanza in esame, inoltre, nell’analizzare il contenuto del verbale di mediazione prodotto in giudizio, ha rivolto un monito ai mediatori, così valutando l’omissione, all’interno del documento, di qualsivoglia riferimento alla lettera inviata dalla Banca all’organismo: “se si fosse trattato di ragioni oggettivamente impeditive della volontà della parte di essere presente, il mediatore avrebbe avuto il dovere professionale, non solo di darne atto nel verbale, ma anche di adottare ogni opportuna iniziativa finalizzata ad assicurare la presenza personale della stessa, ad esempio disponendo – se necessario – un rinvio del primo incontro”.

Anche in questo caso, il sillogismo del Giudice è soltanto parzialmente condivisibile.

Segnatamente, pur essendo auspicabile che le parti, specialmente laddove la mediazione sia stata delegata dal Giudice, diano atto dei motivi che le hanno indotte ad abbandonare le trattative, è discutibile che il mediatore possa procedervi d’imperio o, comunque, senza aver preventivamente raccolto l’esplicito consenso delle medesime.

Non si comprende, infatti, perché al litigante dovrebbe essere negata la possibilità di mantenere il segreto sulle ragioni di defezione dalla mediazione, anche a costo di esporsi alle conseguenti sanzioni irrogabili dal Giudice.

Si tratta, in altre parole, di un bilanciamento di interessi (prevenzione delle sanzioni contro conservazione della segreto su un dato per il quale la legge non riconosce il diritto alla riservatezza) sul quale soltanto il diretto interessato sembra abilitato a pronunciarsi e ad assumere decisioni; di contro, l’attribuzione al mediatore di poteri sostanzialmente inquisitori rischia di pregiudicare quel rapporto di serena collaborazione fra i protagonisti della mediazione su cui riposano le più ambiziose prospettive di successo dell’istituto.

d) Alla luce delle superiori considerazioni, il Giudice ha concluso per l’insufficienza della lettera spedita dalla Banca all’organismo di mediazione a giustificare la mancata partecipazione al procedimento, condannando la stessa al pagamento, in favore dello Stato, di una somma corrispondente al valore del contributo unificato, così come stabilito dall’art. 8, comma 4°-bis, D.Lgs. n. 28/2010.

Tale previsione normativa, nell’ordinanza in commento, è stata interpretata in senso conforme ai precedenti giurisprudenziali intervenuti sul punto, che hanno professato, per un verso, l’obbligatorietà di tale sanzione, che non può essere rimessa alla discrezionalità del Giudice e, per l’altro, la possibilità di comminarla anche prima dell’emissione della sentenza, trattandosi di una penalità che non trova nella soccombenza la sua ragion d’essere (Trib. Monza, sez. I, 10 febbraio 2016; Trib. Mantova, 22 dicembre 2015; Trib. Termini Imerese, 9 maggio 2012).

Anche questo provvedimento pone in evidenza l’opportunità di rimeditare la disciplina sulla mediazione delegata, circoscrivendo il potere del Giudice di disporla ai soli casi in cui, secondo una valutazione di ragionevolezza condotta alla stregua delle difese assunte dalle parti, il raggiungimento dell’accordo conciliativo sia effettivamente possibile; in difetto, l’attribuzione al Giudice di una facoltà sostanzialmente incondizionata di rimettere la causa innanzi al mediatore rischia di favorire strategie comportamentali che tendano a prevenire l’irrogazione di sanzioni, piuttosto che a ricercare appetibili soluzioni di compromesso.

sentenzatrib-vasto

 

Fonte: www.quotidianogiuridico.it

Fonte immagini: www.google.it