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Un “codice” per la giustizia civile

Una riforma necessaria per la coesione sociale e la competitività del Paese

Cambiare si può. Non c’è dubbio. E cambiare migliorando è sempre possibile.

Migliorare, pertanto, la giustizia civile e la sua efficienza non solo non è impresa impossibile, ma deve costituire un obiettivo prioritario di qualsiasi azione di governo che intenda innovare creando le basi per una incisiva trasformazione culturale, prim’ancora che tecnica e organizzativa.

D’altro canto, una seria ipotesi di riforma della giustizia civile non può non tener conto sia dell’alto grado tecnico dello specifico settore, sia delle sue profonde implicazioni sociali ed economiche: ogni scelta operata in questo ambito incide infatti inevitabilmente nei rapporti tra i consociati e nelle relazioni tra questi e le istituzioni.

Insomma un sistema complesso quello della giustizia civile, il cui impatto diretto sul sistema socio-economico del Paese richiede una valutazione che superi la mera logica del dettaglio normativo, per lo più processuale, aprendo a riflessioni che orientino le opzioni sul tavolo nel solco dell’efficienza, della sostenibilità, del riequilibrio del tasso di litigiosità implementando l’uso di strumenti di pacificazione sociale.

La poliedricità del sistema della giustizia civile vigente, che si connota oggi quale servizio pubblico essenziale che può essere amministrato anche da enti privati, richiede sicuramente una razionalizzazione normativa mediante la semplificazione e il coordinamento delle diverse discipline che si sono stratificate nell’ultimo decennio soprattutto sull’impulso delle direttive UE.

In questa direzione, un testo unico, o anche un “codice” della giustizia civile, potrebbe infatti costituire l’obiettivo per un ripensamento prima che tecnico, culturale e per ciò stesso trasversale, non soltanto dei saperi, ma anche dell’agone politico. Non quindi una ennesima riforma delle regole processuali quale obiettivo prioritario quasi obbligato per l’efficienza della giustizia civile. L’esperienza insegna infatti che riformare il processo (e solo il processo), peraltro in una logica di mero efficientismo, non può costituire la soluzione. Lavorare sui rimedi e sui rimedi dei rimedi genera un livello di ridondanza i cui effetti possono essere addirittura agli antipodi della propugnata efficienza.

Né la funzione sociale del processo può essere obliterata da esigenze emergenziali che lo sospingono sempre più verso epiloghi di mero rito utili al solo respingimento del contenzioso con effetti di rimbalzo per lo più sottovalutati perché difficili da analizzare nel breve periodo.

Proprio l’esperienza degli ultimi due lustri sospinti dalla direttiva UE n. 52/2008 – che indicava quale obiettivo la creazione di «un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario» – consente di allargare gli orizzonti ricercando la soluzione al di fuori della gabbia cognitiva nella quale sovente si agitano le proposte interne di riforma della giustizia civile.

Come perseguire allora una efficace tutela dei diritti e un radicale riequilibrio della litigiosità, attraverso un efficiente funzionamento dei sistemi di dispute resolution che il legislatore può e deve apprestare per i consociati? Come rendere economico, rapido ed efficace un sistema le cui risorse sono limitate, ma che allo stesso tempo deve sempre garantire a tutti e indistintamente pronta reazione con risposte adeguate?

Nel discorso al Senato del 5 giugno 2018, il presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte ha chiesto la fiducia precisando sul tema che l’obiettivo «è ricostruire il rapporto di fiducia dei cittadini nei confronti del “sistema giustizia”» rilevando poi che «di recente si è registrato un declino delle iniziative di tutela giudiziaria. In realtà, non è venuta meno la domanda di giustizia, ma piuttosto i processi costano troppo e durano troppo a lungo».

Come ricostruire il rapporto di fiducia e come rispondere adeguatamente alla domanda di giustizia se non avviando un nuovo approccio ecologico al conflitto?
Occorre sicuramente una diversa consapevolezza nella gestione e composizione delle liti civili, senza limitarsi a delegare la risposta al processo quale occasione unica anziché ultima. La perfettibilità del processo civile infatti non può costituire l’obiettivo della riforma affidando alla stessa la soluzione dei mali di un sistema giustizia messo alle corde da una domanda ipertrofica che trova le sue radici anche nella carenza di spazi di mediazione sociale.

Il processo civile deve costituire l’argine sociale prim’ancora che giuridico del conflitto, non la scelta necessaria. Garantire il diritto di accesso alla tutela dei diritti non può significare sostanzialmente obbligare i consociati a tale accesso per l’assenza di altre forme che possano consentire un adeguato e anche migliore risultato per i contendenti e per la collettività, con benefici anche di medio e lungo termine. Il processo per sua natura dirime le controversie per lo più recidendo i rapporti per generazioni: ripristinare la legalità è opera necessaria e deve essere sempre garantita e resa più efficiente, ma non appare per lo più scelta privilegiata quando occorra rammendare le relazioni e ricucire il tessuto sociale dove nasce la domanda di giustizia il cui trend appare in crescita.

E questo – come ha detto il presidente Conte «vale per i cittadini e per le imprese, con la conseguenza che la scarsa efficienza del “servizio giustizia” si sta rivelando un limite alla crescita economica e un deterrente nei confronti degli investitori stranieri. Nell’economia contemporanea, come ricorda il sociologo Ulrick Beck, il vero pericolo è la “minaccia di non invasione da parte degli investitori, oppure la loro partenza”».

La prospettiva proposta appare lucida e difficilmente opinabile anche quando si pongono quali obiettivi del “contratto di governo” «la semplificazione e la riduzione dei processi, l’abbassamento dei costi di accesso alla giustizia, il rafforzamento delle garanzie di tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini».

Il tema è necessariamente trasversale e multidisciplinare, ma anche altamente strategico. Partendo da obiettivi comuni è possibile creare percorsi condivisi attraverso i quali fare scelte anche radicali e ambiziose per la crescita del Paese rafforzando e rendendo coeso il tessuto sociale e rilanciando la competitività del sistema economico.
E così la proposta avanzata per l’istituzione di un commissario straordinario per la giustizia civile o quella di un codice della giustizia civile quale casa comune dei sistemi di dispute resolution possono forse stimolare una riflessione non settoriale e non autoreferenziale, ma soprattutto orientata da un lato a rafforzare il processo prescindendo da sommarizzazioni dettate da esigenze emergenziali e, dall’altro, a mettere a punto quei procedimenti diversi, alternativi o paralleli, separati o integrati, che possono costituire la chiave di volta per l’efficienza del nuovo sistema della giustizia civile mediante un riequilibrio della domanda che non ne scoraggi l’accesso, ma che consolidi le buone pratiche coesistenziali.

D’altronde la strada intrapresa a livello europeo sposta il baricentro delle soluzioni negoziali inevitabilmente fuori del processo. L’autonomia privata in un ambito regolamentato e assistito costituisce la sede naturale e privilegiata per la ricerca di soluzioni autonome (pur etero dirette) del contenzioso civile. Le direttive europee per la mediazione (2008/52/CE) e in materia di ADR per i consumatori (2013/11/UE) descrivono infatti un contesto stragiudiziale regolamentato in equilibrato rapporto con la giurisdizione che non esclude (espressamente consentendole) forme di integrazione.
Non quindi una contrapposizione tra la giurisdizione, chiamata a dirimere le liti con decisioni rapide ed efficaci rese all’esito di un giusto processo, e sistemi extragiudiziali, finalizzati per lo più a risolvere i conflitti mediante l’accordo attraverso percorsi negoziali diretti e indiretti, con e senza l’ausilio di un terzo imparziale.

Un sistema della giustizia civile complesso, equilibrato e sostenibile, quello che si profila ormai in tutta la sua concretezza, che non punti soltanto a una maggiore efficienza del processo civile (che costituisce un obiettivo imprescindibile per rendere effettiva la tutela dei diritti) e, quindi, della giurisdizione, ma che valorizzi – e non soltanto in chiave deflattiva – i sistemi di composizione delle liti civili mediante i procedimenti di ADR (Alternative Dispute Resolution).

 

Articolo ripubblicato dalla rivista Costozero